A rimettere piede sul suolo natio furono gli sfollati che si erano sistemati a Chieti, poi nella primavera del 1945 quando cessarono le ostilità ritornarono anche gli altri. Il viaggio di ritorno non fu facile fatto a piedi o con qualche rara bicicletta. Si dovevano guadare i fiumi, perché i ponti provvisori erano utilizzati dall’Esercito Alleato che andava a combattere sul nuovo fronte della Linea Gotica. Il fiume
Pescara si doveva attraversare in barca aspettando pazientemente il proprio turno. Le strade e i campi in prossimità dell’ex fronte, erano infestate di mine piccolissime che scoppiavano ad altezza d’uomo e non lasciavano scampo. “Che ansia quando finalmente si cominciavano a vedere le prime case della contrada San Rocco! Che gioia l’incontro con gli amici che erano arrivati prima degli altri e davano informazioni preziose e indicazioni utili per evitare i campi minati che già avevano provocato le prime vittime. Alcune case del Paese sembravano intatte: in realtà erano state trasformate in bunker. Era tutto una desolazione e quanta incredulità e doloroso stupore prendeva ognuno nel constatare che anche in quelle poche case rimaste in piedi, dentro non c’era proprio nulla: tutto era stato asportato, distrutto dai Tedeschi o rapinato da qualche sciacallo locale. La Chiesa Parrocchiale distrutta dalle mina, alzava al cielo solo qualche pezzo di muro. Chiunque passava di là, si soffermava mestamente a contemplare quel mucchio di macerie e a ricordare in cuor suo i momenti più sereni e più belli vissuti con i familiari in quel santo luogo: i battesimi, le nozze, le fervide preghiere, le cerimonie nei giorni di festa mentre fuori la banda riempiva l’aria di cari e antichi motivi.Fu molto dura ricominciare dl nulla, ma si ringraziava il Cielo per aver avuto salva la vita.”
di Francesco Pronio
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